Bioplastica e impatto ambientale
Oggi torniamo a parlare di bioplastica e sostenibilità in termini di prodotto
Spesso il concetto di bioplastica è erroneamente associato a prodotti “ecologici” e a basso impatto ambientale.
Avevamo già affrontato in un precedente articolo dove abbiamo fatto un po’ di chiarezza sul tema della compostabilità e biodegradabilità della plastica.
Perché questo argomento oggi?
Lo spunto mi è arrivato a seguito di un audit sullo schema BRCGS Packaging. Durante l’audit, il sito mi ha mostrato uno studio condotto su alcuni prodotti in plastica compostabile, nello specifico un’indagine effettuata da Greenpeace Italia sulle modalità di smaltimento dei prodotti in plastica compostabile.
Alla domanda “Perché non sono migliori della normale plastica?” il sito ha risposto mostrandomi alcuni dati sullo smaltimento dei prodotti, che normalmente vengono smaltiti come rifiuto indifferenziato nella maggior parte dei Paesi europei, mentre in Italia sono considerati rifiuti organici.
Sempre lo studio di Greenpeace Italia ha mostrato come nella maggioranza dei casi i rifiuti in platica compostabile conferiti nei centri di smaltimento non completano il loro ciclo di degradazione necessario alla loro “compostabilità”, ma finiscono nei normali inceneritori.
Bioplastiche: impatto zero?
Non sempre, anzi, spesso il processo di smaltimento è effettuato in modo non conforme nella maggior parte dei paesi membri. Il problema non è tanto delle aziende ma di una comunicazione ancora poco chiara verso il consumatore.
Attualmente i rifiuti in plastica compostabile sono smaltiti come “organico” per circa il 4% del totale delle plastiche smaltite (fonte CIC-Corepla).
Un altro problema che incide su questi dati è la presenza di molte certificazioni di tipo “ambientale” che appaiono sui prodotti, spesso utilizzate come bandiere di marketing ma che non fanno altro che confondere il consumatore. Ricordiamo, ad esempio, “Posate biodegradabili e compostabili”, “Piatti realizzati con plastica ecologica”, tutte etichette che spesso non hanno un fondamento analitico. Tuttavia, è giusto puntualizzare che esistono precise regole e normative per la comunicazione delle asserzioni ambientali sui prodotti.

Bioplastiche: un aiuto per l’ambiente?
Se parliamo di platiche compostabili o biodegradabili queste sicuramente hanno caratteristiche specifiche ma devono seguire un proprio ciclo di smaltimento come rifiuti altrimenti possono creare un danno ambientale maggiore rispetto a una normale plastica.
Inoltre, per chi opera nel settore della certificazione BRCGS Packaging, questa caratteristica del prodotto dovrebbe essere valutata nell’analisi dei rischi in termini di possibili impatti sia di processo ma anche di post utilizzo. A questo punto, eventuali informazioni dovrebbero figurare almeno nelle specifiche tecniche.
Un ulteriore studio condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche e dal Centro Nautico e Sommozzatori (CNeS) di La Spezia e pubblicato su Polymers ha messo a confronto il grado di degradazione in acqua marina fra la plastica tradizionale (rappresentata da HDPE e PP) e la plastica biodegradabile (rappresentata da PLA e PBAT). I risultati sono sorprendenti.
Tempo: 6 mesi
Livello di degrado (in base al tipo di materiale)
- HDPE e PP: non significativo;
- PLA e PBAT: non significativo.
Questo studio però lascia molti dubbi soprattutto perché ad una prima analisi sembra che la caratteristica di bioplastica non sia così “vantaggiosa” rispetto alla plastica tradizionale. Tuttavia non si definisce quale sia il tempo di degradazione necessario alle bioplastiche rispetto a quelle convenzionali. Un altro fattore importante è legato al fatto che i tempi di degradazione delle bioplastiche in condizioni di compostaggio industriale, (come da test condotti secondo le specifiche internazionali), sembrano essere molto minori di quelli invece che invece sono necessari nell’ambiente naturale.
Qual è la strada migliore?
Non è sicuramente facile rispondere a questa domanda. A mio modesto parere credo che vi siano diverse strade che devono proseguire parallelamente.
La ricerca e lo studio di nuovi materiali più vicini all’ambiente è sicuramente fondamentale perché ci spinge a investire e progredire. Tuttavia questa strada deve essere percorsa in modo consapevole, con i giusti tempi e sempre nel rispetto dei possibili rischi a medio e lungo termine per il consumatore e per l’ambiente.
Parallelamente però è doveroso considerare un approccio di riutilizzabilità del materiale che resta a mio avviso sempre l’opzione preferibile. A tal proposito vi invito a leggere alcuni degli articoli pubblicati sul portale GreenAd, il ramo d’azienda che si occupa delle certificazioni in ambito sostenibilità, e alcuni articoli pubblicati sul portale Normativa Alimentare®, che approfondisce temi di carattere più normativo legati all’omonimo software di aggiornamento legislativo.

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Informazioni sull’autore: Marco Valerio Francone
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